Partiamo da un assunto-premessa: chi amministra la cosa pubblica deve rendere conto a media e opinione pubblica, non viceversa.
Sarebbe fin troppo facile, in caso contrario, che i politici – già spesso, purtroppo, avvezzi a questo malcostume, specie in territori “difficili” – inabissassero il loro operato amministrativo dietro la scusa che questa o quella testata, questo o quel cronista “parla male di loro”…
Fuori dall’attività politicoistituzionale, invece, rimane il principio della responsabilità personale: commette un reato il medico che si macchi di “malasanità”, il funzionario pubblico che si faccia corrompere, il calciatore che “venda” le partite… E naturalmente pure il giornalista che dolosamente scriva il contrario di quella che lui sa bene essere la verità magari anche documentale dei fatti. Ma si tratta di responsabilità a titolo individuale, quella di qualsiasi cittadino che deve ovviamente rispondere delle proprie azioni ai fini civili e penali, ove la legge lo sancisca. E poi ce n’è un’altra, indiretta: quella verso la limpidezza dell’informazione e del “patto coi lettori” (proprio come per il magistrato corrotto la responsabilità di procurare sfiducia verso la tripartizione dei poteri e il corretto esercizio del potere giudiziario, per il commercialista colluso l’indiretta responsabilità di agevolare le cosche alimentando la “zona grigia” etc.).
…Personalmente, questo blogger si batte da una vita, e sempre lo farà, per l’abrogazione di tutti i “reati d’opinione” e dell’odioso strumento della querela per diffamazione – spesso, vergognosamente usato a scopo “intimidatorio” – in particolare. Esistono infatti sicuramente ben altri strumenti per rendere giustizia alla Verità, ove infranta (depenalizzazione, norme più stringenti sulla rettifica, un utilizzo finalmente appropriato delle norme deontologiche che resituisca senso all’esistenza di un Ordine professionale, interattività nel caso del giornalismo on-line, perseguimento delle imprese che la parte lesa supponga abbiano incassato profitti illeciti da nonverità “dolose” anziché del singolo cronista molto più facile da colpire e molti molti altri che voi stessi potreste enumerare…).
Tutto questo, però, non c’entra niente con le recenti esternazioni del presidente della Giunta regionale Peppe Scopelliti che in due diverse occasioni, tra venerdì sera (in un incontro pubblico sul “decreto Taurianova”) e sabato mattina (in una conferenza stampa su un bando regionale sull’energia) s’è posto, e in realtà “ha” posto, precisi quesiti su una presunta informativa di polizia in cui si farebbe riferimento a una non meno presunta «manipolazione della verità e delle notizie» da parte di «cinque-sei giornalisti» che, ha affermato sempre il Governatore, sarebbero «sotto inchiesta a Catanzaro», anche se 1) «sicuramente quest’inchiesta verrà archiviata» (versione di venerdì sera) 2) «io non so esattamente se si tratti di un’inchiesta chiusa o ancòra aperta» (versione di sabato mattina).
Affermazioni che, diciamolo sùbito, sono finite nel mirino di molti giornalisti perché reputate inesatte-incomplete-inopportune-capziose (secondo le varie censure mosse) e anche dell’Fnsi (il sindacato dei giornalisti) della Calabria.
Prima di esporre le mie personali riserve, però, va chiarito un punto: qualsiasi cosa si pensi al riguardo, non bisogna indulgere all’appartenenza di questo o quel politico, né alle idee o alla testata di riferimento di questo o quel giornalista. I princìpi di cui stiamo parlando riguardano tutti i giornalisti italiani (e non solo) e il loro comportamento di fronte al Potere (di qualsiasi partito, coalizione, Ente).
Ora, personalmente, questo blogger ritiene che molte molte cose in quello che ha detto il presidente della Giunta regionale calabrese non vadano bene.
A partire dall’essersi intrattenuto, nel corso di due appuntamenti che palesemente nulla c’entravano col rapporto tra potere e media (cosa riguardassero, è scritto in questo stesso post diverse righe più su), su una presunta informativa; una presunta inchiesta; dei presunti contenuti; una presunta manipolazione; un presunto numero di giornalisti.
Un “parlare a spanne” che sicuramente non fa giustizia dello stesso Scopelliti.
Anche perché, vedete, Peppe Scopelliti non ha mai smentito d’aver ricevuto una richiesta d’informazioni da parte dell’ex sindaco ed ex ministro Gianni Alemanno (…e uno che è stato ministro, volendo, potrebbe chiedere lumi anche altrove…) circa la statura morale, diciamo così, del suo referente calabrese in pectore: quel Franco Morelli (ricordate le fatidiche parole videoriprese in un colloquio con Mimmo Crea in Consiglio regionale?, «Il compare di tuo compare è mio compare…», a nostro avviso anche scherzose, se vogliamo) poi arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’àmbito del “caso Sarlo”.
Scopelliti avrebbe «verificato» – con chi, se non con Prefetture e/o forze dell’ordine? Politicamente, infatti, sapeva perfettamente di chi si stesse parlando – per poi rassicurare l’ex ministro alle Politiche agricole, che Morelli non l’aveva mai neppure incontrato… com’è finita la vicenda, è noto. Epperò, insomma, pare difficile che stavolta (quando sarebbe ben più semplice procurarsele…), le informazioni le chieda a qualcun altro, no?
Ma il “caso Sarlo” ci giova, nel ragionamento, per almeno un altro motivo. Peppe Scopelliti è lo stesso uomo politico di lungo corso (ex consigliere comunale, ex presidente del Consiglio regionale, ex assessore al Lavoro, ex sindaco di Reggio Calabria per due mandati…) che non ha battuto un ciglio di fronte al comportamento del catanzarese Mimmo Tallini. Il quale, nel “processo Sarlo”, s’è avvalso della facoltà di non rispondere. Un atteggiamento processualmente del tutto lecito; politicamente, però, dubitiamo che Tallini (o chi per lui, se protagonista fosse stato un altro politico anche d’altro colore) potesse restare assessore regionale un secondo di più dopo un’azione del genere, alla periferia dell’omertà. Invece… su quell’atteggiamento non c’è stato niente da ridire; e difatti l’assessore “muto” davanti ai giudici è ancòra in Giunta.
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